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Achillea

Mio padre mi ha insegnato fin da piccola a guardare la natura che ci circonda come si guarda un giardino. Questo è un dono bellissimo che ognuno può far proprio.
Con la maturità questo dono l’ho definito “il terzo occhio del Dio Pan“.
Tutti possiamo guardare con i nostri occhi, ma due occhi distratti sono tristemente ciechi, il terzo occhio quello appunto del Dio Pan riesce invece a farci godere, a rimanere stupiti innanzi alla grande Madre Terra e alle sue creazioni.
Mi capita, in questo mese, ogni volta che tono a casa dal lavoro, di guardare i fiori di fine primavera spontanei al bordo dei marciapiedi.

La Natura attraverso il vento e altri espedienti riesce a trasportare talmente tanti semi da creare bouquet incredibili da far invidia ad un orto botanico .
C’è un fiore che spicca per la sua altezza rispetto agli altri in questo momento è l’Achillea nobilis. Molti dei fiori che circondano la sua bella corolla bianca sono minuti ma così ben mescolati tra di loro da farla sembrare una regina con i suoi cortigiani!  

Tutti questi fiori crescono rigogliosi nonostante lo scarico dei tubi di scappamento delle auto in coda ed al cemento caldo dove si sono impiantate.
Meriterebbero una medaglia o un quadro di un’ artista in un museo per i meriti ecologici, per arricchimento e restituzione dell’azoto al suolo e a “forme di assistenza indiretta, e imprevista, al salvataggio della diversità” (Elogio delle vagabonde, Gilles Clement)
Le larghe teste ad ombrello sono state notate dalle produzioni florovivaistiche e sono anni che ricoprono una produzione degna di nota.
L’ Achillea è diventata uno fiore campestre protagonista delle cultivar estive.
La famiglia è molto vasta, ma una sola, l’Achillea filipendulina è stata eletta per la riproduzione come fiore da taglio.
Nelle serre distese di Achillee dai fusti rigidi ed eretti circa 80 cm, sorreggono corolle ad ombrello dal diametro di 10 – 15 cm e più!
Il fiore di un bel giallo intenso porta con se anche un piacevole profumo aromatico. 
I produttori non contenti hanno colorato artificialmente le Achillee in arancio e verde bottiglia creando un bel tris di colori caldi perfetti per l’estate.
A dare più importanza a questo fiore è la caratteristica di quest’ultimo ad una facile essiccazione, cosa ben gradita al cliente finale, perché sa con certezza di avere qualcosa di non completamente finto nei vasi una volta ritornato l’inverno.
L’Achillea si presta naturalmente per composizioni floreali campestri, ma sapientemente lavorate in forma orizzontale a blocchi ordinati oppure in sfere perfette cambiano subito carattere. Questi lavori che dovranno avere una visibilità compatta da ogni lato che si guardi sono molto moderne, e indicate particolarmente per arredamenti moderni ed eleganti oppure per sale conferenze, cerimonie, uffici.

Sono lavori in cui ogni fiorista deve mantenere disciplina e rigore altrimenti si perde l’effetto voluto.
Chiaramente l’ordine viene associato alla pulizia. Un lavoro netto e chiaro è rassicurante.
Il lavoro romantico, invece ci porta automaticamente in un mondo più ingombrante fatto di favole e di tutti gli esseri fantastici che lo popolano!
Molti anni fa accompagnai mio padre ad allestire una chiesetta di campagna, mentre lo staff montava il matrimonio, mio padre non era soddisfatto, era inquieto, ci mancava qualcosa, mi diceva. Eppure al mio sguardo, le Rose, i Lilium longiflora, i Delphinium erano bellissimi, a me sembrava tutto perfetto.

Invece mi disse: «Ho visto laggiù un campo di fiori bianchi, vai e raccoglimene più che puoi».
Mi avviai così dove mi aveva indicato, mi inoltrai in quel verde cotto dal sole, dove una distesa di Achillee ondeggiavano ad ogni mio passo.

Un silenzio immenso mi avvolgeva, ed era come un mondo inverso dove le nuvole fatte di fiori erano in terra e un cielo turchino come il mare mi sovrastava. Mi sentii proiettata in un mondo antico, e una sensazione di benessere mi invase.

Capii cosa cercava mio padre, cercava l’anima in quelle composizioni, e solo la leggerezza delle Achilee riuscì a fare un miracolo di poesia e romanticismo.

Qualche anno fa sfogliando un libro di poesie di Emily Dickinson (1868) trovai le parole esatte di quel benessere mai dimenticato.
Non ho mai parlato con Dio né visitato il cielo, eppure so dov’è, come se avessi il biglietto per entrare ».

Anny Pellecchia

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Baeucarnea recurvata

E’ fiorita finalmente la Baeucarnea del giardino. L’avevo vista anni prima nell’Orto Botanico di Portici (NA) e pur ammirandone la bellezza mi rammaricai che la nostra in giardino non avesse ancora dato il meglio di se.
Mio padre la piantò in un bell’angolo del giardino molti anni fa,ora vedendola così magnifica non posso non ricordare le sue parole: «Il giardino sarà pronto per i nipoti».
Del resto la ricchezza più grande che un uomo può lasciare in terra è un patrimonio di bellezza ai posteri. Ed ora che lui non c’è più sento fortemente questo dono lasciatomi da mio padre.
La Baeucarnea è fiorita appena un anno dopo la sua scomparsa, ma quante carezze, quanti sguardi, quanta ammirazione ha avuto questa pianta dal suo amorevole giardiniere.
Il tronco rigonfio nella parte basale ormai è una vera scultura ai miei occhi, ma in realtà serve alla pianta per immagazzinare acqua. Vive benissimo in Sud Italia dove le estati calde e secche assomigliano sempre di più a quelle del suo paese natale, il Messico.
Così mentre la limonaia fa fatica a superare l’estate, la Baeucarnea è esplosa come un fuoco d’artificio con una fioritura davvero spettacolare.
Tre fiori a forma di pennacchio svettano in cima al ciuffo di lunghe foglie. Grandi vespe e api banchettano felici nell’intricato giallo, mentre io rimango incantata ad ammirare quel meraviglioso fermento di vita.
Mio padre soleva raccontare ai clienti in negozio l’arrivo di questa pianta in Italia.
La prima partita di Beucarnee arrivò a Napoli negli anni ‘70.
All’epoca la famiglia De Luca deteneva l’import export di piante dal Sud America. Molti grossisti, produttori, fioristi e addetti ai lavori furono invitati per la presentazione della Beucarnea recurvata chiamata anche Nolina recurvata.
Mio padre era presente quel giorno, bella era bella, una cosa non convinceva il nome. Il primo, Baeucarnea, un nome troppo difficile da ricordare, il secondo Nolina recurvata un nome che non funzionava per lanciarla sui mercati nazionali.
La pianta della felicità, ovvero la Dacaena era stato un vero e proprio boom in Italia, il nome era tutto!
All’epoca non c’era il divieto di fumo nei locali. Molti uomini e donne fumavano tanto che l’aria ad un certo punto diventava irrespirabile. Qualcuno tra gli astanti si alzò in piedi e scherzando disse : «Qui non si respira più! Chiamiamola Pianta Mangiafumo»
Tutti risero di gusto e applaudendo si decise per quel buffo nome! Del resto poteva funzionare.
Il tronco bombato poteva diventare nell’immaginario collettivo un contenitore di fumo!
Dopo 50 anni la Baeucarnea porta con sé il suo soprannome dato da un gruppo di uomini pionieri nel commercio delle piante!
Ancora oggi qualche cliente mi chiede se mangia davvero il fumo. Tutti i fumatori potranno continuare ad affumicare i loro polmoni, la Baeucarnea potrà solo fargli compagnia senza essere danneggiata.

Ma si sa le piante in ambienti chiusi contribuiscono ad ossigenare l’aria assorbendo gas nocivi provocato dalle sostanze nocive contenute in vernici, pitture, colle, smalti ecc.

Nel 2020 la Baecarnea è una pianta comune, si trova facilmente a buon prezzo sugli scaffali dei supermercati e grandi magazzini, ma se si vuole un esemplare unico bisogna rivolgersi a negozi di fiori specializzati o ai garden center.
Avere un esemplare in ufficio o in casa da subito prestigio, non c’è dubbio, bisogna solo ricordarsi di essere moderati nelle innaffiature e regalare alla pianta nei mesi caldi una vacanza fuori dalle mura domestiche.
Le vespe hanno finito di banchettare, la sera sta scendendo sul giardino, un silenzio sacro viene adornato dal frinire dei grilli.
Apro la pompa e inizio a rinfrescare il giardino proprio come faceva mio padre quando tornava dal lavoro.
Un passaggio di consegna per tutelare questo mondo incantato dove, insieme alla mia famiglia, in un tempo chiuso in una goccia d’acqua, siamo stati felici.

Anny Pellecchia

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Il grande corazón del fico d’India

C’è una bella pianta di Fico d’India (Opuntia ficus-indica) sulla strada di casa abbarbicata sulla roccia a strapiombo, quando scendo a piedi per fare una passeggiata ho quasi timore che mi cada addosso, così mi porto sul lato verso il mare per sentirmi più sicura. Non riesco a levargli gli occhi da dosso tanto è bella.
Una scultura della Natura, con equilibrio perfetto è determinata ad arrivare fin sulla strada, pala dopo pala prima o poi raggiungerà il suo intento.
I bellissimi fiori sbocciano al sole del Sud per poi tramutarsi in succosi frutti dai colori brillanti, rosso fuoco, giallo, viola.
Sono sempre tentata di coglierli, ma come dicevo prima, ho paura di farmi male così mi accontento di sapere che gli uccelli banchettino senza essere disturbati!
Sulla strada i frutti caduti sono perfettamente svuotati dalla maestria dei becchi dei volatili!
Ai mercati generali possiamo trovare piccole piantine di Fico d’India, sono molto apprezzate dai clienti. Negli ultimi anni, soprattutto, questa pianta con la sua simpatica foglia a paletta è ispirazione per stampe di tessuti, parati e modello per creazioni di gioielli e ceramica.
Tutta questa visibilità aiuta il successo della pianta, la quale incontrando la simpatia dei clienti viene acquistata senza bisogno di presentazioni.
Anche la cura è molto facile, essendo una pianta grassa abituata ad adattamenti estremi chiede solo luce, caldo e innaffiature ridotte aiutati da uno spruzzino per non pungersi.
Flavia, una cliente abituale del negozio, ne ha acquistata una.
Frequenta un corso di ceramica in città, e con tutto l’entusiasmo del principiante mi ha fatto vedere il suo primo lavoro, un vaso con foglie di Fico d’India, perfetto per la sua nuova piantina!
Qualche settimana dopo, con grande meraviglia, la pianta felice nel suo vaso artistico, le ha regalato due nuove foglie, prospera felice e contenta in una casa piena di energie positive!
E’ poco più di cinquecento anni che il Fico D’India è entrato a far parte della flora europea. Furono gli spagnoli a portarlo nel nostro continente dal Messico, poco dopo la scoperta dell’America. Velocemente si è diffuso nelle aree temperate dell’Europa meridionale e dell’Africa settentrionale.
Nell’Italia del Sud si è ambientato così bene da diventare un simbolo integrante del paesaggio soprattutto in Sicilia, dove i suoi frutti si sono trasformati in fresche granite, saporosi liquori e dolcissima frutta martorana. Talmente presenti in Sicilia che li troviamo presenti nelle pagine dei libri sfondo di personaggi nei racconti di Pirandello a Camilleri.
Poi c’è una cosa che mi piace tantissimo di questa pianta ed è il suo modo di pensare per risolvere un problema! Molto spesso ci sentiamo dire “è impossibile”, ebbene diffidate da chi lo dice, le piante ci insegnano sempre a trovare una strategia per raggiungere un obiettivo!
Il nostro fico d’India trovandosi in ambienti desertici a temperature altissime per sopravvivere ha imparato a procurarsi l’acqua attraverso l’atmosfera!
Come, direte voi se non piove mai in un deserto! Ebbene l’umidità della notte viene intrappolata dalle spine sottilissime e convogliata in goccioline all’interno dei clatoidi ovvero le pale, le quali a loro volta diventano un serbatoio d’acqua della pianta.
Il Fico d’India autoctono del Centro America messicano è diventato una grande risorsa per il paese.
Da sempre usato come ingrediente culinario e cosmetico ha trovato nuove frontiere di sperimentazione.
Avreste mai pensato ad un carburante a base di pale di fico d’India?
Un gruppo di studiosi, imprenditori messicani e produttori agricoli hanno fondato una società NopaliMex mettendo a punto un biocombustibile basato sulla biomassa del fico d’India, energia totalmente naturale capace di far circolare macchine istallando semplicemente un serbatoio di gas naturale.
L’oro verde del Messico non si ferma qui!
Ricercatori dell’Università del Messico stanno creando un processo di fabbricazione per una innovativa plastica biodegradabile al 100% composta da succo di Fico d’India.
Avete sentito parlare di due giovani messicani che hanno portato avanti per due anni la loro idea “data per follia”, per riuscire a creare un’alternativa alla pelle? Una pelle che fosse ecosostenibile e rispettosa verso il mondo animale. Una pelle resistente e traspirabile. Ebbene,i due con il loro ingegno hanno smentito coloro che non credevano in loro dato vita al primo tessuto vegetale simile alla pelle realizzato con pale di Fico d’India!
Il tessuto vegan è pronto a sostituire del tutto la pelle animale. Borse, scarpe, abiti, cinture...una nuova sfida per la salvaguardia del pianeta!
Giorgio Armani e altri famosi stilisti ormai guardano a collezioni totalmente ecologiche.
Armani come condottiero di una nuova sfida, incita ad una moda tutta ripensata, che vive in un mondo nuovo più vicino e rispettoso della natura.
Cambiare rotta ormai sì può, ogni giorno ne abbiamo la prova, anche noi dobbiamo fare la nostra parte, pretendendo e acquistando solo prodotti ecosostenibili.
Il pericolo di oggi se non si corre ai ripari è semplice e si può riassumere tutto in una metafora di Camilleri.

“Oggi, la situazione è spinosa, con la particolare spina del fico d’india che non si vede, ma si rischia di rimanere con la mano piena di spine senza accorgersene”

Anny Pellecchia

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