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Baeucarnea recurvata

E’ fiorita finalmente la Baeucarnea del giardino. L’avevo vista anni prima nell’Orto Botanico di Portici (NA) e pur ammirandone la bellezza mi rammaricai che la nostra in giardino non avesse ancora dato il meglio di se.
Mio padre la piantò in un bell’angolo del giardino molti anni fa,ora vedendola così magnifica non posso non ricordare le sue parole: «Il giardino sarà pronto per i nipoti».
Del resto la ricchezza più grande che un uomo può lasciare in terra è un patrimonio di bellezza ai posteri. Ed ora che lui non c’è più sento fortemente questo dono lasciatomi da mio padre.
La Baeucarnea è fiorita appena un anno dopo la sua scomparsa, ma quante carezze, quanti sguardi, quanta ammirazione ha avuto questa pianta dal suo amorevole giardiniere.
Il tronco rigonfio nella parte basale ormai è una vera scultura ai miei occhi, ma in realtà serve alla pianta per immagazzinare acqua. Vive benissimo in Sud Italia dove le estati calde e secche assomigliano sempre di più a quelle del suo paese natale, il Messico.
Così mentre la limonaia fa fatica a superare l’estate, la Baeucarnea è esplosa come un fuoco d’artificio con una fioritura davvero spettacolare.
Tre fiori a forma di pennacchio svettano in cima al ciuffo di lunghe foglie. Grandi vespe e api banchettano felici nell’intricato giallo, mentre io rimango incantata ad ammirare quel meraviglioso fermento di vita.
Mio padre soleva raccontare ai clienti in negozio l’arrivo di questa pianta in Italia.
La prima partita di Beucarnee arrivò a Napoli negli anni ‘70.
All’epoca la famiglia De Luca deteneva l’import export di piante dal Sud America. Molti grossisti, produttori, fioristi e addetti ai lavori furono invitati per la presentazione della Beucarnea recurvata chiamata anche Nolina recurvata.
Mio padre era presente quel giorno, bella era bella, una cosa non convinceva il nome. Il primo, Baeucarnea, un nome troppo difficile da ricordare, il secondo Nolina recurvata un nome che non funzionava per lanciarla sui mercati nazionali.
La pianta della felicità, ovvero la Dacaena era stato un vero e proprio boom in Italia, il nome era tutto!
All’epoca non c’era il divieto di fumo nei locali. Molti uomini e donne fumavano tanto che l’aria ad un certo punto diventava irrespirabile. Qualcuno tra gli astanti si alzò in piedi e scherzando disse : «Qui non si respira più! Chiamiamola Pianta Mangiafumo»
Tutti risero di gusto e applaudendo si decise per quel buffo nome! Del resto poteva funzionare.
Il tronco bombato poteva diventare nell’immaginario collettivo un contenitore di fumo!
Dopo 50 anni la Baeucarnea porta con sé il suo soprannome dato da un gruppo di uomini pionieri nel commercio delle piante!
Ancora oggi qualche cliente mi chiede se mangia davvero il fumo. Tutti i fumatori potranno continuare ad affumicare i loro polmoni, la Baeucarnea potrà solo fargli compagnia senza essere danneggiata.

Ma si sa le piante in ambienti chiusi contribuiscono ad ossigenare l’aria assorbendo gas nocivi provocato dalle sostanze nocive contenute in vernici, pitture, colle, smalti ecc.

Nel 2020 la Baecarnea è una pianta comune, si trova facilmente a buon prezzo sugli scaffali dei supermercati e grandi magazzini, ma se si vuole un esemplare unico bisogna rivolgersi a negozi di fiori specializzati o ai garden center.
Avere un esemplare in ufficio o in casa da subito prestigio, non c’è dubbio, bisogna solo ricordarsi di essere moderati nelle innaffiature e regalare alla pianta nei mesi caldi una vacanza fuori dalle mura domestiche.
Le vespe hanno finito di banchettare, la sera sta scendendo sul giardino, un silenzio sacro viene adornato dal frinire dei grilli.
Apro la pompa e inizio a rinfrescare il giardino proprio come faceva mio padre quando tornava dal lavoro.
Un passaggio di consegna per tutelare questo mondo incantato dove, insieme alla mia famiglia, in un tempo chiuso in una goccia d’acqua, siamo stati felici.

Anny Pellecchia

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Copyright © Ugo Pellecchia & Il Floricultore

 


 
Il grande corazón del fico d’India

C’è una bella pianta di Fico d’India (Opuntia ficus-indica) sulla strada di casa abbarbicata sulla roccia a strapiombo, quando scendo a piedi per fare una passeggiata ho quasi timore che mi cada addosso, così mi porto sul lato verso il mare per sentirmi più sicura. Non riesco a levargli gli occhi da dosso tanto è bella.
Una scultura della Natura, con equilibrio perfetto è determinata ad arrivare fin sulla strada, pala dopo pala prima o poi raggiungerà il suo intento.
I bellissimi fiori sbocciano al sole del Sud per poi tramutarsi in succosi frutti dai colori brillanti, rosso fuoco, giallo, viola.
Sono sempre tentata di coglierli, ma come dicevo prima, ho paura di farmi male così mi accontento di sapere che gli uccelli banchettino senza essere disturbati!
Sulla strada i frutti caduti sono perfettamente svuotati dalla maestria dei becchi dei volatili!
Ai mercati generali possiamo trovare piccole piantine di Fico d’India, sono molto apprezzate dai clienti. Negli ultimi anni, soprattutto, questa pianta con la sua simpatica foglia a paletta è ispirazione per stampe di tessuti, parati e modello per creazioni di gioielli e ceramica.
Tutta questa visibilità aiuta il successo della pianta, la quale incontrando la simpatia dei clienti viene acquistata senza bisogno di presentazioni.
Anche la cura è molto facile, essendo una pianta grassa abituata ad adattamenti estremi chiede solo luce, caldo e innaffiature ridotte aiutati da uno spruzzino per non pungersi.
Flavia, una cliente abituale del negozio, ne ha acquistata una.
Frequenta un corso di ceramica in città, e con tutto l’entusiasmo del principiante mi ha fatto vedere il suo primo lavoro, un vaso con foglie di Fico d’India, perfetto per la sua nuova piantina!
Qualche settimana dopo, con grande meraviglia, la pianta felice nel suo vaso artistico, le ha regalato due nuove foglie, prospera felice e contenta in una casa piena di energie positive!
E’ poco più di cinquecento anni che il Fico D’India è entrato a far parte della flora europea. Furono gli spagnoli a portarlo nel nostro continente dal Messico, poco dopo la scoperta dell’America. Velocemente si è diffuso nelle aree temperate dell’Europa meridionale e dell’Africa settentrionale.
Nell’Italia del Sud si è ambientato così bene da diventare un simbolo integrante del paesaggio soprattutto in Sicilia, dove i suoi frutti si sono trasformati in fresche granite, saporosi liquori e dolcissima frutta martorana. Talmente presenti in Sicilia che li troviamo presenti nelle pagine dei libri sfondo di personaggi nei racconti di Pirandello a Camilleri.
Poi c’è una cosa che mi piace tantissimo di questa pianta ed è il suo modo di pensare per risolvere un problema! Molto spesso ci sentiamo dire “è impossibile”, ebbene diffidate da chi lo dice, le piante ci insegnano sempre a trovare una strategia per raggiungere un obiettivo!
Il nostro fico d’India trovandosi in ambienti desertici a temperature altissime per sopravvivere ha imparato a procurarsi l’acqua attraverso l’atmosfera!
Come, direte voi se non piove mai in un deserto! Ebbene l’umidità della notte viene intrappolata dalle spine sottilissime e convogliata in goccioline all’interno dei clatoidi ovvero le pale, le quali a loro volta diventano un serbatoio d’acqua della pianta.
Il Fico d’India autoctono del Centro America messicano è diventato una grande risorsa per il paese.
Da sempre usato come ingrediente culinario e cosmetico ha trovato nuove frontiere di sperimentazione.
Avreste mai pensato ad un carburante a base di pale di fico d’India?
Un gruppo di studiosi, imprenditori messicani e produttori agricoli hanno fondato una società NopaliMex mettendo a punto un biocombustibile basato sulla biomassa del fico d’India, energia totalmente naturale capace di far circolare macchine istallando semplicemente un serbatoio di gas naturale.
L’oro verde del Messico non si ferma qui!
Ricercatori dell’Università del Messico stanno creando un processo di fabbricazione per una innovativa plastica biodegradabile al 100% composta da succo di Fico d’India.
Avete sentito parlare di due giovani messicani che hanno portato avanti per due anni la loro idea “data per follia”, per riuscire a creare un’alternativa alla pelle? Una pelle che fosse ecosostenibile e rispettosa verso il mondo animale. Una pelle resistente e traspirabile. Ebbene,i due con il loro ingegno hanno smentito coloro che non credevano in loro dato vita al primo tessuto vegetale simile alla pelle realizzato con pale di Fico d’India!
Il tessuto vegan è pronto a sostituire del tutto la pelle animale. Borse, scarpe, abiti, cinture...una nuova sfida per la salvaguardia del pianeta!
Giorgio Armani e altri famosi stilisti ormai guardano a collezioni totalmente ecologiche.
Armani come condottiero di una nuova sfida, incita ad una moda tutta ripensata, che vive in un mondo nuovo più vicino e rispettoso della natura.
Cambiare rotta ormai sì può, ogni giorno ne abbiamo la prova, anche noi dobbiamo fare la nostra parte, pretendendo e acquistando solo prodotti ecosostenibili.
Il pericolo di oggi se non si corre ai ripari è semplice e si può riassumere tutto in una metafora di Camilleri.

“Oggi, la situazione è spinosa, con la particolare spina del fico d’india che non si vede, ma si rischia di rimanere con la mano piena di spine senza accorgersene”

Anny Pellecchia

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La severa lezione di Madre Natura

Urge la promessa che archiviato questo periodo di pandemia, si cambi rotta per tutto il pianeta Terra.

Piccolo uomo del 2020, ti sentivi forte, imbattibile sicuro, peccato che chi non conosce la storia è costretto a riviverla.  L’uomo domina gli altri esseri viventi, crede di essere Dio in terra, non sa che se altera i meccanismi del pianeta, ovvero attacca inconsapevolmente organismi infinitesimamente piccoli, microbi, bacilli e virus  ne diventa a sua volta vittima e preda. La malattia sonnecchia, per poi un giorno esplodere e propagarsi grazie a promiscuità sociali.  

Dalle epidemie dell’antica Grecia, a quella di  Roma, alla peste raccontata dal Boccaccio, a quella del Manzoni fino a quella che stiamo vivendo oggi nulla cambia. Tutte le epidemie passano rapidamente da una massa umana all’altra.  Cosa  pensa il medico, lo scienziato del nostro tempo delle epidemie del passato e quella di oggi? La storia si ripete non c è una cura un vaccino immediato si procede per tentativi, e “secondo alcuni, luminari non esitano ad avanzare l’ipotesi, che ogni agente patogeno, abbia la propria storia, parallela a quella delle sue vittime, e che l’evoluzione delle malattie dipenda in larga misura dai cambianti, dalle mutazioni degli agenti stessi.” (Fernand Braudel ). 

Oggi come allora  ci troviamo allo stesso punto. Quarantena! Dai documenti apprendiamo che il Doge di Venezia 1485, capì che  per arginare  il male bisognava creare un isolamento, le case pulite con zolfo e rimbiancate, letti e  suppellettili disinfettati e messi al sole, vestiti e panni sporchi bruciati. 2020 il pianeta si è trasformato in un immensa ampolla di Amuchina e vige la quarantena assoluta! Le fake news imperversano, “Prendete vitamina C, D, B..”.

Nei tempi addietro si ricorse al Cardo benedetto ovvero Centaurea benedicta, una sorta di panacea di tutti i mali.

I monaci Benedettini ne favorirono la coltivazione. Così come la Ruta, o l’acqua di rose.

Ma, ahimè,  niente di tutto ciò fu di grande aiuto. Un vecchio proverbio cinese afferma che tutte le malattie umane entrano dalla bocca. Se è così anche le sostanze curative e i rimedi devono essere assunti nello stesso modo. Purtroppo, nonostante medici e scienziati di tutto il pianeta stanno cercando di trovare il farmaco giusto, la cura ancora non c’è.

Ma come si sa cercando una cosa se ne trovano altre. Dall’analisi dell’Arpac vengono fuori importanti dati. L’inquinamento, soprattutto quello atmosferico, potrebbe aver preparato il terreno al coronavirus e alla sua diffusione. Dati evidenziano una relazione  tra superamenti dei limiti di legge e il numero dei casi infetti. 

La Pianura Padana è guarda caso, purtroppo,  in codice rosso.  Alte percentuali di polveri significano più province con focolai di coronavirus. D’altro canto, con l’arrestarsi del mondo, l’inquinamento è diminuito drasticamente, i satelliti ce lo mostrano chiaramente. Quindi dovremmo avere meno malati di tumori nei prossimi mesi.

Conclusione? Non ci vuole molto a tirare le somme.  Una volta finito questo periodo di pandemia, c’è davvero la necessità assoluta  di cambiare rotta per tutto il pianeta Terra.

La Natura ancora una volta  ci ha dato una grande lezione di vita.

Anny Pellecchia

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