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Ognuno può fare la differenza

A fine giornata di lavoro l’ultima mansione è quella di riordinare la spazzatura, l’umido nei contenitori appositi, la plastica con la plastica, la carta con la carta, le cassette di legno le riporto al mercato, molti produttori sono contenti di riutilizzarle, così come i secchi di plastica dei fiori, altri li regalo ai clienti, un secchio serve sempre per innaffiare bene una pianta…

Caspita mi dico, ma non ce lo potevano dire subito di riciclare? Ogni volta con rabbia penso a tutta quella spazzatura buttata negli anni passati a casaccio. Nonostante gli spazzini ogni mattina puliscono la mia bella città, continuo l’opera durante la giornata, se il marciapiede difronte al negozio si sporca, lo spazzo, se trovo una bottiglia di plastica o di vetro, una carta lasciata tra le piante in esposizione, (ahimè succede anche questo), la raccolgo pazientemente. 
Sono bastati appena 60 anni per creare un’isola di plastica nell’Oceano grande come tre volte l’estensione della Francia, ad avere un buco dell’ozono grande come due volte la superficie dell’Europa, ad aver distrutto più di un quinto la foresta Amazzonica, ad aver contaminato più di 80.000 siti del suolo, per capirci tutte le regioni geografiche del globo ne sono vittima…

Caspita mi dico, se per Fernand Braudel uno dei massimi storici del XX secolo i tre cavalieri della morte erano tre: guerra, carestia e peste, oggi potremmo dire che l’unico cavaliere della morte è l’uomo! O meglio un gruppetto di uomini.
“Le nuove multinazionali detengono un potere così vasto e un’influenza così grande perché la produzione e la ricchezza sono ormai estremamente concertate e il pubblico ha uno scarsissimo controllo sulla loro gestione. I loro amministratori non sono eletti, né sono pertanto responsabili verso la pubblica autorità. La maggior parte delle loro azioni non è neppure nota all’opinione pubblica. La nostra libertà di scelta va scomparendo perché le scelte vengono compiute da individui e istituzioni che hanno tutto da guadagnare dallo sfruttamento dell’uomo, degli animali e di tutto il pianeta” Julia Butterflay Hill.
Ecco, vi chiederete perché questo mese non ho parlato nella mia rubrica di un fiore o di una pianta come sono solita fare. Mi è capitato tra le mani un libro “La ragazza sull’albero” di Julia Butterflay Hill. Ebbene ero totalmente allo scuro di questa donna, di questa eroina che non ho potuto non sostenerla, contribuendo al tam tam di responsabilità verso il nostro Pianeta. Era il 10 dicembre del 1997, Julia attivista era consapevole che più del 97% delle originarie foreste di sequoie erano state abbattute e che quel poco che restava continuava ad essere distrutto. Per attirare l’attenzione dei mass media salì su una sequoia millenaria per restarci 738 giorni senza mai mettere piede a terra. “L’ho fatto per proteggere quell’albero, che ho chiamato Luna e per attirare l’attenzione sulla distruzione delle foreste antiche del pianeta”. Grazie a lei oggi possiamo ancora ammirare questi splendidi alberi.
Molti di noi si rendono conto che la situazione ambientale è molto complessa, continuando a non cambiare il nostro modo di vita, è difficile pensare al futuro che lasciamo alle generazioni future, stiamo rubando e rovinando un futuro che non ci appartiene.

In questo anno abbiamo assistito ad un evento epocale “La rivoluzione dei bambini”. La portavoce di tutti i bambini del mondo è una 15enne Greta Thunberg, chiede una cosa enorme ma semplice da fare, cambiamento per salvare il Pianeta.
Un proverbio turco dice “ Non importa se hai sbagliato strada, torna indietro.”
Anche se il nostro sembra un pianeta tanto grande, produciamo tanti di quei rifiuti che stiamo esaurendo i metodi per smaltirli. Qualche stupido ha detto “Chi si cela dietro Greta?” Ecco, vorrei rispondergli che ci sono tutti i genitori, i nonni, gli zii, gli amici, gli uomini di buona volontà del Pianeta Terra, i quali desiderano che la vita continui ad essere vissuta.

Voglio ricordare che i bambini di Cernobyl ancora pagano una delle catastrofi ambientali di cui l’uomo è la causa. All’uomo cavaliere della morte gli sfugge qualcosa di essenziale: ovunque ha portato distruzione totale come Cernobyl o nell’arcipelago Tuamotu, dove la Francia scelleratamente, designò questo paradiso in terra come sito di test nucleari, la vita umana non è più possibile. Inaspettatamente le piante e gli animali sì. La loro resistenza, soprattutto quelle delle piante alle avversità è di lunga maggiore di quella umana. Le piante hanno assorbito la radioattività, ma se tagliate o bruciate la rilascerebbero immediatamente nell’atmosfera con conseguenze gravissime.
Touchè!

Anny Pellecchia

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Copyright © Ugo Pellecchia & Il Floricultore

 

 


 
Ninfee, incantesimo di acqua, luce e petali

O divinità mattutina, sorgi dalle acque come Afrodite schiudendo la tua corolla magnifica, accarezzata dai primi raggi del sole caldo della bella stagione. Nessuno può sottrarsi al tuo incanto, è un dono contemplarti, perché si sa, la tua bellezza dura un giorno, a tarda sera richiudendoti in te stessa ritorni nel mondo liquido da dove sei venuta.


E’ per questa magia che ogni anno porto in negozio una bella confezione di ninfee rustiche di vari colori facili da coltivare alle nostre temperature. Certo è difficile vendere un bicchierone di plastica pieno d’acqua con un rizoma all’interno e una foto indicativa del fiore, in piena città. Ma che ci posso fare, sono un’inguaribile romantica, proiettata nell’antica Roma.

Vedo una Ninfea, e immagino di essere in una villa patrizia, seduta ai bordi di un ninfe.! Certo che poesia venerare le Ninfe in casa, avere una vasca dove coltivare piante di ninfee. Il ninfeo fu pure un sogno continuato nei giardini all’italiana del periodo barocco e romantico… poi man mano l’uomo moderno si è disconnesso dalla bellezza della natura per qualche inceppo nel sistema interplanetario, non ha interesse alla contemplazione della sinfonia di colori che fiori e foglie donano ogni giorno gratuitamente al nostro sguardo.
Eppure rimango fermamente convinta che lo scopo di un giardino, di una terrazza o anche di un piccolo balcone fiorito è quello di donare felicità e pace alla mente. È così facile creare un ninfeo, anche se non si possiede un giardino con vasca, basta una tinozza, uno strato sul fondo fatto di argilla sabbia e sassolini per ancorare il rizoma, qualche pesciolino rosso per creare un piccolo ecosistema in miniatura, sole ed è fatta!

Per chi è terrorizzato dalle zanzare al posto dei pesciolini rossi consiglio le gambusie, pesci minuscoli divoratori dell’odiato insetto. Basta rabboccare sempre il livello dell’acqua in modo tale che tutti abbiano sempre acqua a sufficienza.

Possiamo invitare Plinio, Marziale, Orazio, tutti e tre i poeti concordano che una casa senza ninfeo è incompleta e che l’aspetto più importante dell’acqua rimane legato al piacere di contemplare l’acqua come valore estetico. Naturalmente un ninfeo deve essere una sinfonia di colori utilizzando allo scopo anche meravigliosi fogliami come Papiri, Equisetum, Thyphe… bisogna sempre ricordare, che una persona desidera vedere un bel quadro alla volta e non un accozzaglia di varietà messe a casaccio, la cosa non è semplice al contrario richiede conoscenze specifiche che possono scaturire da lunghi studi attività ed esperienza.

Il grande pittore Claude Monet, sapeva bene tutto ciò, tanto amava le ninfee, che dopo aver acquistato un pezzo di terra a Giverny, vicino Parigi, intentò una causa all’amministrazione pubblica pur di deviare un piccolo fiume, il Ru, così da ricavarne un bacino per far sì che le ninfee si rigenerassero senza sosta. A giudizio vinto poté finalmente godere del suo piccolo paradiso, sistemare il cavalletto sulle sponde del laghetto e dipingere la sua ossessione, le ninfee. Voleva intrappolare sulla tela acqua luce e aria per l’eternità!

Era vittima di un incantesimo! Le sue ninfee le dipinse ben duecentocinquanta volte, senza contare molte tele distrutte, sfregiate o bruciate durante attacchi d’ ira spasmodica perché non le riteneva soddisfacenti. Comunque le dodici tele lunghe quattro metri ciascuna sono esposte in una sala creata apposta per Monet di forma ovale al museo dell’Orangerie a Parigi.

A distanza di un secolo, il visitatore ha la stessa sensazione come scrisse lo scrittore Lucien Descaves “Esco dalla vostra mostra abbagliato e meravigliato”. Al pittore Monet deve essergli successo sicuramente qualcosa di incredibile, proprio come accadde a Hilas nelle avventure di Giasone e gli Argonauti. Come tutti ricordano Hilas era uno scudiero imbarcatosi con Giasone per la conquista del Vello d’oro. Durante una sosta, Hilas scese dalla nave in cerca di una fonte di acqua dolce. Quando le Ninfe lo videro se ne innamorarono, una di loro lo prese e lo tirò verso l’acqua per baciarlo, trascinandolo poi nella fonte con loro. Ecco, immagino che anche Monet sia stato rapito dalle Ninfe del suo lago, avrà visto la loro bellezza, avrà sentito il loro profumo, avrà toccato con mano quel confine tra umano e divino, e solo attraverso questa magica empatia è riuscito a creare la grande sinfonia cromatica fatta di fiori prima che di pennelli, sprigionando uno stupore mistico, scaturito dall’amore infinito verso la Natura.

Annie Pellecchia

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Copyright © Ugo Pellecchia & Il Floricultore

 


 
Ci ha lasciato Ugo Pellecchia, il fiorista gentiluomo

Domani, continuerò ad essere. Ma dovrai essere molto attento per vedermi. Sarò un fiore o una foglia.Sarò in quelle forme e ti manderò un saluto. Se sarai abbastanza consapevole mi riconoscerai, e potrai sorridermi. Ne sarò molto felice.

Thich Nhat Hanh

Un uomo mi porse l’urna tra le mani, entrai in macchina, era lì tra le mie braccia, destinazione il giardino della sua casa, della nostra casa, alle porte della Costiera Amalfitana. Guardando fuori dal finestrino risentivo le sue parole: «Quando vidi quel pezzo di terra proiettato nel mare me ne innamorai». E in quell’innamoramento non c’era solo l’idea di creare un piccolo paradiso, c’erano anche mia madre, mia sorella ed io. Come mi sentivo? Nonostante il cuore mi facesse tanto male sentivo il mio corpo come uno scrigno colmo delle ricchezze più belle. Lo aveva colmato mio padre durante tutta la mia vita. Era un vulcano di energia, di positività, di lavoro, di forza, di saggezza antica e amore per il prossimo.

Era un giardiniere, un fiorista, un artista… se chiudo gli occhi vedo le sue mani rugose porgermi le piante come gioco: «Sono piccole agavi, piantiamole nei vasetti» oppure, le talee del prato Stenotaphrum appena arrivate dall’Africa: «È un nuovo prato», diceva trionfante. «Si piantano orizzontalmente nel terreno, soffocheranno tutte le erbacce! Sarà così morbido che potremmo camminarci scalzi!». Ogni pianta nuova che portava in giardino era una storia meravigliosa di una terra lontana! «Guarda, la Yucca elephantipes, si chiama così perché la base del tronco assomiglia a una zampa di elefante». Nella vasca dei pesci c’era un mondo fantastico, dove le nostre barchette di plastica navigavano tra gigli d’acqua con la loro buffa struttura spugnosa, fiori di ninfee, papiri e rane. Su di un pezzo di legno inchiodato ad un asse, scrisse “Al boschetto”. Aveva lasciato una parte del giardino con le piante autoctone, un bosco buio di querce, carrubi, ulivi, fiori d’acanto. Conduceva ad una piccola chiesetta sconsacrata, un mondo incantato dove noi bambini creavamo giochi infiniti. Nella serra costruita con le sue mani una Passiflora quadrangularis era protetta come una fata. E poi c’era la limonaia, dove le notti di primavera salivamo al terrazzamento più alto del giardino, tenendolo per mano, ridevamo felici perché erano arrivate milioni di lucciole e tutti i fiori di zagara, schiudendosi, impregnavano l’aria di profumo: i cani scodinzolavano tra le nostre gambe, la Natura tutta rideva con noi, perché la gioia era tutta lì, tra fiori di zagara nel buio illuminato da lucciole e stelle!

Il giardino era anche il suo laboratorio, ogni giorno tagliava foglie di palma, banani, papiri, bacche, rami per creare poi in negozio creazioni floreali inedite. Un pioniere dell’arte moderna floreale, si aggiornava continuamente comprando libri di botanica, arredo giardini, composizioni. Stava creando, senza accorgersene, anche una biblioteca di vero pregio. Tutte le piante del giardino venivano riprodotte e diventavano a loro volta altri giardini. Instancabile era la sua sete di conoscenza, quando varcai con lui i cancelli di “Euroflora” rimasi senza parole, camminammo talmente tanto che i piedi si riempirono di vesciche, per scusarsi mi comprò un paio di scarpe nuove, morbide come le nuvole! Ma che importava, avevo visto tutte le piante del pianeta, e conosciuto tutti i suoi amici del settore florovivaistico d’Italia!

“Ugo Internazionale”, così lo chiamavano, perché non si perdeva una fiera. Visitò mezzo pianeta: la Foresta Amazzonica, i boschi di Sequoie, le foreste asiatiche ricche di orchidee, il mistero dell’arte dei bonsai e ikebana in Giappone ecc.

Ogni volta che tornava, la casa era piena di regali esotici, ma la cosa più bella erano i suoi racconti fantastici sulle piante, che regalava non solo a noi ma anche a tutti i clienti del negozio. Il negozio era un faro per tutta la città e la provincia, la sua comunicazione era dirompente, galante con le signore, amico divertente con gli uomini, tutti diventavano senza sforzo suoi amici, e anche i professionisti – pur continuando a dargli il lei – lo chiamavano nonostante tutto “Ugo”. Era l’era delle tv private, voleva talmente far conoscere il mondo delle piante che decise di creare una trasmissione sul verde, sicuramente fu una delle prime del genere, anche in questo fu un pioniere. “Idea Verde” era talmente seguita che la gente veniva in negozio per conoscerlo. Luisa Rivelli lo invitò alla sua trasmissione “Il mercatino del sabato”, su Rai 1 per parlare di piante e fiori.

Quello che stupiva era la facilità con cui faceva ogni cosa. Nessuno però sapeva che dietro quell’esplosione di energia, c’era invece un’infanzia dura e solitaria senza genitori, la morte tragica della sorella Annamaria, la guerra, i bombardamenti e lo stupore di essere ancora vivo nonostante tutto. Era la voglia di affermazione, di essere amato da tutti, lui il bambino che non aveva mai conosciuto le carezze di sua mamma. Non si lamentava mai, e se mi vedeva piangere o triste diceva semplicemente: rialzati e cammina. Si può sbagliare una volta, se sbagli ancora vuol dire che sei recidiva. E così facevo di tutto per non deluderlo, i suoi silenzi erano peggio di ogni punizione.

La Natura lo chiamava continuamente per farsi ammirare, ricordo durante la preparazione di un matrimonio, mi indicò una radura dove milioni di achillee ondeggiavano nella brezza del primo mattino: «Vai», disse, «raccoglimene un bel fascio, la più bella composizione è quella di Dio giardiniere». Ed aveva ragione, ancora oggi quando cammino o sono in macchina guardo con i suoi occhi le incredibili varietà di composizioni di fiori ed erbe spontanee che mi circondano, aggrappate ai muri, lungo i bordi delle strade, sulle spiagge, in collina.

Mia madre, mia sorella Olimpia ed io lo abbiamo amato tantissimo, poi quando mia madre si ammalò non c’era giorno che non le portasse un fiore. Vivemmo l’inferno della malattia in un mondo di amore. Quando la sua sposa volò in cielo tutte le sue energie furono solo per ricongiungersi a lei. Dopo dieci mesi, il giorno della Festa della mamma, lo “scugnizzo del Vesuvio” si accasciò davanti al Teatro Verdi di Salerno, la sua città del cuore.

Con mio figlio Stefano continuammo a lavorare per tutte le mamme del mondo, poi quando ogni ordine era stato portato a termine finalmente lo raggiungemmo… se avessimo abbandonato i clienti in un giorno di festa non ce l’avrebbe mai perdonato. Del resto questa dedizione al lavoro fu premiata con la nomina di Cavaliere e Maestro del Lavoro.

Arrivati davanti al cancello del giardino, il cane, come se avesse capito, per la prima volta non ci venne incontro. Lo trovai il giorno dopo davanti la finestra di mio padre, raggomitolato col muso tra le zampe. Una nuova alba sorgeva in giardino, le piante rilasciavano nell’aria vapori accarezzate dai primi raggi di luce, tutto era silenzio, il mare blu innanzi a me, lo stesso scenario che vide mio padre la prima volta.

Anny Pellecchia

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