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Natale. La corona dell’Avvento e il senso dell’eternità

Le quattro candele disposte sul profumato abete simboleggiano i Profeti, Betlemme, i Pastori e gli Angeli e vengono accese una ogni domenica.
L’ultima, il 25 dicembre, giorno della nascita del Bambin Gesù, porterà luce e speranza in tutte le nostre vite.

Come faccio a meravigliarmi ogni volta dell’arrivo del Natale?
Eppure il 6 gennaio scorso, sopravvissuta al tour de force del negozio, ero sicura di una lunga tregua… invece ecco di nuovo la città (Salerno – NdR) illuminata con bellissime luci d’artista!
Sul calendario l’otto “rosso” annuncia l’Immacolata Concezione, la quale apre le festività natalizie seguita a ruota dai suoi santi preferiti: Santa Lucia, ad un “passo di gallina”, e Sant’Aniello, ad un “passo di vitello” dal Natale!
Ma del resto, come la circolarità di una ghirlanda, dicembre chiude l’anno e così il ripetersi del tempo ci dà un senso di eternità.
È proprio la corona dell’Avvento il primo lavoro che si prepara nei negozi di fiori. La ghirlanda è un inno alla Natura che riprende la vita.
Le quattro candele disposte sul profumato abete simboleggiano i Profeti, Betlemme, i Pastori e gli Angeli e vengono accese una ogni domenica.
L’ultima, il 25 dicembre, giorno della nascita del Bambin Gesù, porterà luce e speranza in tutte le nostre vite.
La corona dell’Avvento è davvero un lavoro molto emozionante, poetico; ai bambini viene dato il compito dell’accensione, ma anche un ospite caro può avere quest’onore.
Solo da qualche decennio l’Italia, così come tanti altri Paesi, ha introdotto con entusiasmo questa tradizione che viene dal Nord Europa, e più precisamente dalla Scandinavia.
Certo l’uso delle ghirlande celebrative e decorative risale a tempi molto lontani.
In Persia la ghirlanda era chiamata diadema che significa “qualcosa che è legato intorno” ed era formata da strisce di stoffa che adornavano il capo dei componenti della famiglia reale e simboleggiava per l’appunto regalità.
Nell’antica Grecia corone di alloro (Laurus nobilis), simbolo di grande onorificenza, venivano poste sulle teste dei più meritevoli che divenivano così “laureati”; da qui prende il nome la nostra laurea ossia il titolo accademico rilasciato al termine degli studi universitari.
Per i Romani le ghirlande erano simboli di potere, rappresentate anche sottoforma di gioielli e metalli preziosi, nasceva così la corona reale. “Corona” è infatti il sostantivo latino che significa ornamento o ghirlanda.
Nel Medioevo anche il popolo iniziò a creare corone celebrative per onorare le festività religiose.
Usare le piante era una scelta naturale considerato che quasi tutte le culture antiche veneravano gli alberi come veicoli di energia divina.
Ancora una volta il Nord Europa ci regala lavori natalizi bellissimi della loro tradizione, ghirlande di agrifoglio e vischio venivano accolte in casa per dare riparo alle divinità silvane contro il freddo dell’inverno.
Per quanto mi riguarda la prima corona che ricordo nella mia vita è stata una corona funebre preparata in negozio da mio padre!
I lavori funebri in Italia hanno una spettacolarità unica.
Quella corona era davvero enorme e la sua austerità mi faceva sentire piccola, piccola… solo dopo molti anni capii il vero significato: il cerchio simboleggia l’eternità e l’unità.
La corona dell’Avvento, tradizione di altre genti, entra oggi nelle nostre case, così come entrò l’albero di Natale nel 1943 anno in cui ci fu lo sbarco degli alleati angloamericani.
Noi italiani avevamo “solo” il presepe, una meravigliosa pagina del Vangelo.
Un mondo nel mondo, dove tutto è già stato e tutto è nuovo. Il palco di un teatro dove oltre la sacra rappresentazione si mescolano tanti racconti.
Ecco la lavandaia, l’acquafrescaia dietro il suo chiosco profumato di limoni, il pescivendolo, l’ortolano, gli zampognari, il carro di Ciccio, grassoccio e sorridente disteso sulle sue botti.
Non immaginereste mai che questo personaggio è una sopravvissuta divinità pagana, sì è proprio Bacco che cantando si reca ad adorare il Bambin Gesù!
Il presepe napoletano è: «Un documento, un tessuto che per sincretismo eredita già nell’ordito richiami esoterici e mistici e tutti i significati più lontani del Natale, anche quelli di memoria non cristiana» (Maria Orsini Natale, “Cieli di carta”).
Ogni cosa è una metafora: la grotta confine tra luce e buio è vittoria sull’angoscia delle tenebre; il fiume simbolo del tutto che scorre, vita e morte; l’acqua rigeneratrice e purificatrice; la tavola dell’osteria significa tradimento, ma anche aggregazione e fratellanza nel pasto in comune; il ponte è il passaggio per altri mondi sconosciuti come l’aldilà; la fontana incontri d’amore, ma anche apparizioni; il mulino è il tempo che scorre; la stella è un presagio.
Chi di noi non ha giocato con quei pastori, chi di noi non è rimasto incantato tra quei viottoli e casette di carta pesta …che magia che frastuono di genti!
È Natale tutto è pronto, l’albero scintilla, la corona dell’avvento ha acceso la sua ultima candela…

“Pastori silenzio!  Ninno (il bambino) sta nascendo!”.

Anny Pellecchia

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Copyright © Ugo Pellecchia & Il Floricultore

 

 


 
Loto, il fiore che avvicina al Nirvana

Nasce in condizioni estreme per trasformarsi in un simbolo di leggiadria. È amato dai maestri spirituali e qui dà vita a emozionanti intermittenze del cuore

Le mattine d’estate ai Mercato dei fiori di Castellammare sono particolarmente piacevoli, sono le 5 del mattino c’è già la luce, l’aria è fresca, i fiori estivi sono un inno alla bella stagione, la quantità di piante fiorite sono un invito ai futuri clienti a vivere al meglio balconi  e giardini!

Un fornitore mi chiama : «I fiori che piacevano a vostro padre sono arrivatia» e così dicendo alza in aria un fascio lunghissimo di steli racchiusi un cappuccio di foglia. Sorrido, è davvero estate, è proprio vero sono i fiori di Ugo Pellecchia, rispondo ridendo.

La stagione del fior di Loto è arrivata!

Li acquisto senza neanche chiedere il prezzo, qualunque esso sia li avrei comprati comunque, perché non compro solo un fascio di fior di Loto compro un fascio di ricordi…

Anni ’60-70, in negozio due volte a settimana mio padre andava in stazione a ritirare un cesto di canne stracolmo di fiori di Loto, le corolle erano ricoperte di giornali (per mantenere il grado di umidità). Liberati dalle carte non restava che sfogliarli. I bei petali rosa si schiudevano fra le mie piccole dita, mio padre era così entusiasta che nell’aria c’era sempre una sensazione di meraviglia e di energia positiva.

Era un fiore molto di moda all’epoca, non c’era salone in case importanti che non sfoggiasse un bel vaso con composizioni di fior di Loto.

La foglia gigantesca diventava un gioco per me bambina, mio padre faceva ruotare le gocce d’acqua all’interno che come per magia diventavano palline simili a biglie. «Sono piante che vivono sull’acqua -mi diceva- l’acqua non le bagna.»
Poi successe una cosa straordinaria, in un bellissimo giorno d’estate Cencio e Cecchina Gallamini di Lugo (Ravenna) furono nostri ospiti.

Cencio Gallamini per mio padre era un mito. Nel primo decennio del dopoguerra Vincenzo Gallamini (detto Cencio) di ritorno da un viaggio in Giappone, portò con sé alcune piante di Loto che pose in uno specchio d’acqua di ben due ettari. La pianta si adattò talmente bene che la famiglia Gallamini acquistò il lago per valorizzare le potenzialità naturali finalizzate anche ad impianti vivaistici.

Furono dei giorni meravigliosi, Cecchina era un ottima cuoca passava tutto il tempo in cucina con mia madre a cucinare i suoi piatti regionali e a scrivere ricette, Cencio invece era sempre con mio padre in giardino, contemplava estasiato la flora mediterranea e le piante esotiche.

E’ difficile descrivere la gioia di quei giorni, era un tempo dove vivere era empatia, donarsi per arricchire le proprie conoscenze non solo lavorative ma anche d’affetto. E quel grande affetto esplose proprio come un seme di loto quando Cecchina sapendo che io e mia sorella non avevamo conosciuto le nonne materne disse: «Chiamatemi nonna Cecchina».Cencio si adeguò col suo carattere più silenzioso a diventare Nonno Cencio!

Sono in negozio, quante cose sono cambiate, quell’Italia bella di cui ero spettatrice con occhi da bambina non c’è più, mio padre non è più in negozio, i clienti sono più distratti immersi sempre più in un mondo virtuale, a casa si sta poco, i fiori si acquistano frettolosamente, un fiore di Loto dura troppo poco per una società che mira all’eterna giovinezza e ha poca dimestichezza con la poesia e storie romantiche.
«Signora, nel mio paese questi si chiamano Nelù» – E’ la voce di Samara a riportami alla realtà; è il mio nuovo dipendente viene da Goa, non parla molto, ed io rispetto il suo silenzio non conoscendo la sua cultura. Nonostante il suo stentato italiano mi fa capire aprendo le braccia l’immensità dei Loto nella sua terra!

Che bello Samara, deve essere uno spettacolo l’India in fiore!

Nelù ripeto, che nome dolce, un nome perfetto di bimba bella, di principessa indiana!

Samara è buddista, è una persona gentile, molto laboriosa, il sorriso fa parte di lui.

L’essenza del buddismo in un fiore

E’ proprio questo Loto rosa ad otto foglie il trono sopra cui siede Buddha.
Tutta la filosofia buddista ruota intorno al Loto, un fiore che nasce dal fango, dai bui acquitrini che poi, grazie a un’energia che il pensiero buddista attribuisce alla volontà naturale delle piante produce un fogliame aereo sospeso sul pelo dell’acqua con l’apoteosi dello sbocciare del fiore. Un’ascesa in verticale verso la purificazione e il raggiungimento del nirvana dove nulla può più macchiare l’animo umano neanche l’acqua.

Il bel lago creato da Cencio di fior di Loto è ancora lì, le piante si sono moltiplicate, oggi la famiglia Gallamini l’ha donato alla città. Perché ogni uomo possa ricordarsi che vivere è un percorso di suolo, tenebre, acqua, aria, luce.

 

Anny Pellecchia

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Copyright © Ugo Pellecchia & Il Floricultore


 
Plumeria, il sogno polinesiano

Detto anche Frangipane, in onore del nobile romano che ne “catturò” la fragranza, è il fiore che impreziosisce le collane di benvenuto tahitiane, le stesse che incorniciarono l’amore tra Marlon Brando e la bellissima Tarita Teriipia

Era il 1962, nella splendida isola di Tahiti, Marlon Brando durante le riprese de ”Gli Ammutinati del Bounty”, si immedesimò talmente nella parte del comandante Fletcher che finì per sposare Tarita Teriipaia, l’attrice polinesiana che dava il volto alla principessa dell’isola.

Chiunque abbia visto il film non potrà mai dimenticare l’incontro tra il bel capitano e l’indigena.

La danza di benvenuto è una scena magnifica: Tarita di una bellezza imbarazzante, muove il corpo al ritmo della musica con movenze talmente sensuali da lasciare senza fiato. Le sue forme perfette sono ricoperte solo di fiori profumati, il sorriso ammaliante, lo sguardo intrigante si intreccia a quello di Marlon, non sono solo due attori, sono due giovani che si stanno davvero innamorando. Il primo bacio pieno di desiderio che i due si daranno nascosti tra felci incorniciati dai fiori delle loro collane rimane un immagine indiscussa del sogno polinesiano.

Tutto il film è un tripudio di fiori, i fiori sono realmente protagonisti della scena. Ci sono momenti del film dove sia gli ufficiali inglesi sia le comparse locali (ne furono usate ben 6000) sono decorati con collane e ghirlande fiorite! E’ in questo contesto tropicale che il fior di Plumeria si è incastonato nella mia mente!

Quando anni fa vidi per la prima volta le belle piante ai Mercati generali, nello stesso attimo di stupore nel vederle mi mancò tutto lo scenario paradisiaco che viveva nella mia mente! Ormai la produzione era iniziata! La stessa sorpresa fu vederle sui balconi siciliani durante un viaggio alle Eolie. Aguzzai la vista per accertarmi che fossero davvero fiori di Plumeria! Sì erano loro altro che geranei pensai sorridendo tra me!

Anche la Trinaclia è una terra magica pensai, è anch’essa un’isola, qualche botanico avventuriero innamoratosi perdutamente della Plumeria l’avrà rapita per piantarla ed averla per sempre con se!

In effetti, la Plumeria giunge in Europa nel 1700, e fu portata in Sicilia non a caso dagli inglesi. Il clima si prestò senza difficoltà alla coltivazione della pianta sia in terreno che in vaso. L’orto Botanico di Palermo vanta ancora oggi gli esemplari più antichi d’Italia.

Fragrante e seducente

Ancora un’altra isola questa volta siamo a Rodi, in Grecia, la bella Plumeria ha scelto di rimanervi. Filari di siepi si possono ammirare ovunque, tanto che un cliente habitué del negozio fu così gentile di mandarmi entusiasta addirittura un video!

Con l’aumento delle temperature la Plumeria sta colonizzando anche la mia regione, a Salerno iniziano ad attecchire superando senza timore i brevi freddi invernali.

Consiglio comunque i clienti di mettere le piante a dimora almeno per un paio di mesi.

Tutti ma proprio tutti amano la pianta di Plumeria, del resto i suoi fiori sono così belli che ovunque la pianta abbia attecchito ha sempre trovato ottima accoglienza.

Il fiore non solo è incantevole, la superfice appare morbida e liscia al tatto come la pelle delle belle polinesiane! Il profumo che emana è dolce e speziato nello stesso tempo. Un intreccio sensuale di note di Vaniglia, Cannella, Rosa.

L’origine del nome

Un profumo talmente complesso di sensazioni che il profumiere italiano Muzio Frangipane cercò di catturare creando un profumo che ricordasse quello della Plumeria.

Riuscì nel suo intento creando un’affinità olfattiva talmente vicina che i nome Frangipane si trasferì alla pianta di Plumeria. Infatti ancora oggi molti identificano la Plumeria col nome di Frangipane.

Plumeria invece è il nome in onore del botanico ed eccellente pittore francese Charles Plumier (1646-1706) nel corso della sua vita setacciò in lungo e largo le coste americane e le isole del sud a caccia di piante.

A Sud, inseguendo i profumi

Anche quest’estate la Plumeria sarà protagonista indiscussa in negozio! Dico sempre ai clienti che sono un po' come Salgari, non potendo viaggiare immagino attraverso i fiori di essere nella loro terra d’origine. La Plumeria mi proietta automaticamente lontano, sono nelle isole da sogno della Polinesia, è quasi il tramonto, sono scalza, la sabbia della spiaggia è tiepida, ho appuntati in petto profumati fiori di Frangipane, il profumo dei fiori si mescola con l’odore del mare, respiro profondamente e ripeto tra me un detto di questo popolo gentile : “ Volgi lo sguardo verso il sole e le ombre cadranno dietro di te”.

Felice Estate a tutti!

Annie Pellecchia

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