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Una coppa di petali color fragola: ecco la rosa ‘Yves Piaget’

È sempre difficile svegliarsi di notte per andare ai mercati generali. Quello che mi spinge ad abbandonare il tepore delle coperte è la consapevolezza che una volta lì riempirò i miei occhi di colore e mi nutrirò della grinta ditutte le anime che ci lavorano.

C’è da dire però che nel mondo razionale degli uomini una donna ci sta stretta; una donna per affrontare tutto ha bisogno di qualcosa di poetico che le addolcisca la vita. Fu così che una mattina di giugno scorso, prendendo in prestito le parole di Salvatore Di Giacomo, il mercato “addorava de rose a centopassi, quel profumo come un’invisibile filo d’Arianna mi portò dinnanzi ad una rosa incantevole!

Rosa-Yves-PiagetUna coppa di petali color fragola, imperfetta nel gambo, una corolla ammaliante, gioiosa nella sua corposità e maledettamente profumata, un profumo che ebbe il potere di allargare gli spazi temporali: ero nel giardino di Versailles, o forse no, nel roseto Malmaison di Giuseppina Bonaparte, o forse in Oriente, in Cina, in Persia, nella cosiddetta mezzaluna fertile nei favolosi giardini pensili di Babilonia!

Chi convive con gli studi classici, non scende mai dalla macchina del tempo.

Una cosa però era successa in quell’istante reale, il cuore mi batteva più veloce, tutti i miei sensi erano rapiti. Proprio io che amo tutti i fiori mi ero innamorata di una rosa!

Io, che ogni giorno vedo rose! La verità è che le rose moderne si sono spinte troppo oltre, fino a far dimenticare il vero significato che questo fiore porta dentro di sé.

Quando incontrai il produttore Aniello Testa e la rosa ‘Yves Piaget’ albeggiava.

A quel punto non mi bastava più vederla al mercato, volevo conoscere la terra dove cresceva e la sua storia! Il produttore, divertito dal mio entusiasmo, non poté che invitarmi a visitare l’azienda.

Pochi giorni dopo ero in macchina in un dedalo di serre nella sterminata Piana del Sele. Neanche il cellulare scarico, illusoria bussola, ostacolò la mia ricerca. Finalmente ero arrivata nella bellissima tenuta della famiglia Testa.

Un casale antico dà il benvenuto agli ospiti mentre un centenario gelso apre il viale che porta a milioni di rose. Aniello fu il mio Cicerone insieme con i suoi allegri bambini, Costantino e Antonietta, che in pochi attimi riempirono le mie braccia di fiori! Attraversammo filari di maestose rose di ibridatori di mezzo pianeta, poi, dietro un esercito di rose rosse ‘Lovely Red’, rincontrai la mia rosa ideale!

‘Yves Piaget’fu portata in Sud Italia negli anni ‘70 da Costantino Testa (padre di Aniello), il quale ogni anno si recava in Francia per arricchire le varietà del roseto di famiglia fondato a sua volta dal padre nel primo dopoguerra ai piedi del Vesuvio.

In Francia conobbe i roseti leggendari di Meilland, ma soprattutto conobbe Alain Meilland, sesto di una generazione di produttori e creatori di rose. Proprio Alain fece conoscere l’ultima creazione delle sue ricerche a Costantino. Presentandogliela gli disse: «‘Yves Piaget’ fiorisce tutta la stagione calda, tu vivi al Sud! Mi piace perché ha un carattere splendido, ma non è perfetta, nello stesso tempo ti sorprende cambia ogni giorno, da un piccolo bocciolo scoppiano miriadi di petali».

Rosa-Yves-Piaget3Costantino si convinse e acquistò ‘Yves Piaget’ come buona fortuna per l’azienda e molte altre varietà. Alain incalzava: «L’unico scopo del nostro lavoro è la bellezza. Le donne che ci affiancano devono dividerci con le rose; mia moglie mi perdona sempre quando prima di andare a dormire le dico: “Stasera la tua bocca è la più bella rosa del mondo”». Costantino replicava: «Alain sei il solito francese romantico!».

«Quale francese romantico – rideva l’altro – la frase l’ho presa in prestito dal poeta persiano Omar Khayyam vissuto intorno al mille!».

In quegli anni e nei quaranta che seguirono, il mercato delle rose si è sempre più rivolto ad una produzione di rose perfette, quasi finte, addirittura senza spine.

Attualmente c’è un ritorno a un “mondo perduto”, la rosa francese ‘Yves Piaget’ e tutte le nuove inglesi rispecchiano quell’antico sapore di dolce vita.

Oggi Aniello Testa con la sorella Giulia sono la terza generazione. Credono in quello che fanno, non avrebbero mai potuto fare altro mestiere. Mentre si parlava di varietà, il figlio di Aniello rivolto al padre gli chiese: «Papà sei felice?». Che belle domande fanno i bambini!

Tornata in negozio, le “rose Testa” hanno fatto scalpore e ripensando a quella piccola grande domanda posso rispondere che siamo felici perché se oggi si possono coltivare rose antiche, lo dobbiamo a quei coraggiosi ed intelligenti ibridatori e coltivatori appassionati che hanno sempre saputo salvaguardare ed impedire che sparissero varietà per mancanza d’interesse. Lo dobbiamo a coloro che in momenti di crisi storiche, guerre, pestilenze, cercarono di salvare il salvabile. Erano poeti delle rose, consapevoli che il futuro avrebbe avuto bisogno di bellezza per essere vissuto.

 

Annie Pellecchia

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