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“Ling Zhi” il fungo dell’immortalità

Lavorare in un negozio di fiori non è mai monotono, tanti sono i colori che riempiono il mio sguardo, tante le varietà di piante e fiori di cui ogni giorno devo prendermi cura. Quest’anno poi è arrivato per la prima volta nella storia del negozio il fungo Ling Zhi! Che meraviglia sembra un gioiello! Non ha niente a che vedere con l’aspettativa occidentale di grandiosità e fastosità…il cliente lo capirà?

Accidenti quanto costa mi sono detta! Ho chiuso gli occhi e ho comprato un carrello intero!

Naturalmente hanno avuto il primo posto in vetrina. Niente da dire, il nuovo arrivato ha davvero la tipica eleganza orientale, in Cina è conosciuto con il nome di Ling Zhi, mentre in Giappone è chiamato Reishi.

Gli orientali con la loro grazia riescono a rendere “arte” anche un fungo! Posso dire che ha la stessa eleganza di un bonsai, il Reishi è un fungo cosiddetto a “mensola “dunque cresce orizzontale attorno ai tronchi degli alberi. Attraverso il mio sguardo occidentale, prende le sembianze quasi di una piccola pagoda o tempietto!

La superfice del fungo è dura, coriacea, liscia, di colore rosso- marrone intenso, l’orlo è giallino.

La cura al contrario del Bonsai è davvero facile. Il fornitore che ne possiede uno da anni lo cura spruzzandolo d’acqua ogni tanto e se la superficie rimane macchiata dal calcare lo lucida amorevolmente con batuffolo d’ovatta imbevuto da una goccia d’olio d’oliva!

La letteratura cinese e giapponese è ricca di richiami al Reischi. Spesso è raffigurato su pitture e suppellettili. Lo si appende ancora oggi come amuleto sopra la porta di casa.

Il pensiero taoista lo considera un elisir di lunga vita. In effetti studi in vitro hanno rilevato molte proprietà salutiste molte ancora da determinare, come coadiuvante nel trattamento di importanti malattie.

Il fungo magico in oriente gode ancora oggi di una vera venerazione.

Nel segno cinese “Ling” viene tradotto come “potenza spirituale o dell’anima”, mentre il segno “Zhi” era usato per indicare le sostanze utilizzate nella preparazione degli elisir di lunga vita.

Il raggiungimento dello stato di immortalità rientrava tra gli obbiettivi principali non solo della cultura occidentale ma anche di quella orientale! Col passare del tempo i due segni si unirono assumendo il significato che fa riferimento al fungo della saggezza e dell’immortalità.

Ho bisogno di sapere altre notizie sul Ling Zhi, decido di chiamare la professoressa Valeria Varriano, docente di lingua cinese presso l’Università degli Studi di Napoli L’Orientale!

La mia richiesta viene velocemente esaudita qualche giorno dopo con l’arrivo di una cospicua quantità di materiale!

Accipicchia, il fungo Ling Zhi è parte integrante della mitologia cinese e racconti popolari trasmessi oralmente attraverso i secoli! Non avendo quindi una prima storia scritta il Ling Zhi è giunto fino ai giorni nostri dall’epoca imperiale in innumerevoli varianti. Basti pensare che solo su Amazon Cina se ne trovano cinquanta versioni tra narrativa, fumetti, film, serial televisive e giochi elettronici!

Una cosa mi è chiara, in questa marea di versioni, il fungo Ling Zhi è la panacea miracolosa che salva gli uomini nelle avversità estreme della vita!

Forse la storia più amata che ha affascinato per secoli lettori e scrittori dentro e fuori i confini cinesi è “La leggenda del Serpente Bianco”

Storia d’amore tra un uomo e uno spirito serpente dalle fattezze di una bellissima donna. Quest’ultima di nome Suzhen, ogni notte all’insaputa dell’amato ritorna ad essere un serpente. Una notte però il marito svegliandosi d’improvviso vede il serpente nel letto e per lo spavento muore. Suzhen, straziata dal dolore sfida le autorità del cielo per procurarsi il Ling Zhi fungo che restituisce la vita. Mille saranno le peripezie che Suzhen dovrà affrontare per impadronirsi del fungo magico, unica speranza per salvare l’amato marito. Il fungo infatti cresce sulla vetta più alta della Cina, il monte Kunlun. Una vetta sferzata da venti impetuosi, con estreme escursioni termiche, che inibiscono qualsiasi forma di vita.

E’ difficile accedervi, dei guardiani e dei mostri attendono i viaggiatori a ciascuno dei nove piani che conducono alla vetta.

Il lieto fine come tutte le storie eroiche è assicurato…

Intanto i clienti rimangono appiccicati alla vetrina carichi di meraviglia e curiosità! Le domande sono tante, ed io proprio come un cantastorie ogni volta racconto la storia del Ling Zhi!

“Io trasmetto non invento nulla: credo nel passato e lo amo” (Confucio)

Si ringrazia la Gent.ma Prof.ssa Valeria Varriano per il prezioso materiale e foto fornitoci.

 

Anny Pellecchia

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Copyright © Ugo Pellecchia & Il Floricultore

 


 
Vischio - Auguri per il nuovo anno

Molti sono i venditori di vischio durante le festività natalizie, ma il nostro fornitore ufficiale è sicuramente Rocco e viene una volta l’anno dalla Basilicata con il suo ricco carico di Viscum album. Rocco è un uomo che ha vissuto talmente tanto in montagna che è un tutt’uno con essa! Ha un corpo agile come un gatto selvatico e gli occhi neri assomigliano a quelli dei lupi dei boschi appenninici. Viene accolto in magazzino con tutti gli onori. Per me rimane sempre un eroe; del resto per raccogliere il vischio sulle cime degli alberi si rischia davvero l’osso del collo.

Come tutti sanno, il vischio è una pianta semiparassita che vive in parte a spese di una pianta ospite, in cui affonda le sue radici specializzate, e in parte grazie al nutrimento prodotto dalla sua stessa clorofilla. Vederlo in natura non è difficile, soprattutto in inverno, quando gli alberi sono ormai spogli delle loro foglie. Basta allontanarsi dalle città, una passeggiata fuori porta, alzare il naso all’insù ed ecco scorgere i grandi cespugli tondeggianti appollaiati sui rami di querce, castagni, pioppi, abeti, pini, meli, peri ecc. E pensare che è propagato dagli uccelli! Questi ultimi infatti sono ghiotti delle bacche bianche e carnose. A fine pasto strofinano sulla corteccia i semi vischiosi rimasti nel becco. Devo confessare che anch’io ho cercato di far appiccicare i semi delle bacche agli alberi di casa, ma senza successo. Mi mancavano sicuramente le ali per posizionarli ad altezze migliori!

Da noi il 31 dicembre è il giorno del vischio per tradizione. In negozio è una vera festa! Rami di ogni dimensione sono pronti per essere venduti. Grandi fasci per feste in casa e nei locali, ma anche piccoli fascetti da passeggio per chi deciderà di brindare in piazza e per le strade della città. Li confezioniamo senza cellofan o altri fronzoli, giusto un fiocco rosso e un gancio per appenderli il più alto possibile. Nessuno rinuncia al fatidico bacio sotto il vischio! La bacca perlacea e appiccicaticcia è beneaugurante e propiziatrice per lunghi legami di amicizia e d’amore. È una pianta con una forte sacralità, è la pianta più vicina al cielo, più vicina a Dio.

Il Vischio porta con sé mille storie e leggende. Plinio il vecchio, 2000 anni fa, già ne parlava nel “Naturalis historia”: aveva visto i Druidi, così venivano chiamati i maghi della Bretagna, che usavano il vischio nei loro riti sacri. Erano convinti che la pianta avesse poteri miracolosi nella guarigione di molte malattie ed era considerata un ottimo antidoto contro malefici e sortilegi. Era la divinità celeste che sceglieva quale albero dovesse accogliere la pianta e automaticamente il bosco diventava un luogo sacro.

Lasciando i paesi freddi del Nord Europa raggiungiamo il Sud Italia dove Virgilio rende protagonista il vischio in una delle pagine cruciali dell’Eneide. Questa volta è una maga, la Sibilla cumana, a spiegare ad Enea come proseguire il suo difficile viaggio. Quando si entra fisicamente nell’antro della Sibilla a Cuma non si può far a meno di rivivere quei momenti tragici letti sui banchi di scuola. Enea è disperato, senza patria, stanco. È inginocchiato ai piedi della veggente. Vuole un indizio, un aiuto, una speranza, un conforto per scendere nel buio Tartaro. Vuole rivedere suo padre, Anchise, ancora una volta. Enea aveva fatto di tutto per salvare anche il vecchio padre dalla distruzione di Troia. Nella fuga rocambolesca l’aveva caricato sulle sue spalle, ma una volta arrivati sulle rive della Sicilia il genitore era morto stremato dagli eventi. La storia di ieri si ripete nella storia di oggi con la stessa tragicità. Tutta questa gente, che approda sulle nostre spiagge, racconta storie non tanto diverse dal racconto epico virgiliano. La differenza sta nel fatto che allora una città, Troia, fu distrutta e massacrata, oggi intere nazioni sono flagellate da guerre civili e d’interesse.

Se Enea nella sua disperazione aveva una possibilità di conquista territoriale per sé e per la sua gente, oggi questo esodo biblico, di cui siamo inerti spettatori, non può aspirare a nessuna “Nuova America”, perché entra in una Europa che non ha né i mezzi né la volontà di affrontare una realtà così complessa.

Si parla di cattive politiche di accoglienza e di integrazione, di difficoltà economiche, ma mi chiedo, perché non si parla di pace? Perché non ci sono uomini di buona volontà che si impegnano per riportare la pace nelle terre di questa povera gente?

Siamo tutti davanti al buio del Tartaro. Tutti abbiamo paura di attraversalo perché sappiamo dell’inferno che ci attende se non si troverà una soluzione. “ …Non puoi scendere nei segreti della terra se prima dall’albero non hai staccato il virgulto dalle foglie d’oro”. La Sibilla, attraverso le sue indicazioni, mette nelle mani di Enea, viaggiatore sperduto nelle tenebre, una pianta luminosa il Vischio, che gli servirà da lampada per rischiarare i suoi passi.

Tutti noi sappiamo l’epilogo della storia: Enea rivedrà il padre che gli profetizzerà la nascita di Roma. Ecco, mai come quest’anno vorrei che il Vischio si appropriasse di un nuovo significato. Che portasse la luce della ragione, della pietas a chi ha il potere di cambiare davvero le cose. Oltre il buio c’è la luce, la vita per un nuovo inizio. L’unica Terra promessa oggi è la Pace e la fratellanza tra i popoli.

Auguri di Buon Anno a tutti!

Anny Pellecchia

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Copyright © Ugo Pellecchia & Il Floricultore n. 12, Dicembre 2013

 


 
Nonno Arturo e papà Ugo col racconto del Natale ‘44

Il nostro primo bellissimo albero di Natale di quel lontano 1944 

È arrivato un altro Natale! Il negozio si colora di rosso con l’arrivo di Poinsettie, Ilex, Amaryllis, mele…è tutto un fermento! Soprattutto, entra in negozio il profumo del Natale, il profumo di abete! Quando li vedo scaricare dal furgone – così allineati come soldati sull’attenti – il cuore mi si riempie di una gioia piena di ricordi d’infanzia! Ma, allora, dico: «È davvero Natale! Siete bellissimi!». Sorrido inebriata, non posso non toccarli, accarezzarli, come un affetto atteso da un anno!

Slacciati dalle corde che li tengono stretti, strattonandoli si aprono in cento rami.

Sembrano uomini – arrivati dopo un lungo viaggio – pronti ad abbracciarti, una volta liberati da pesanti soprabiti innevati.

Da quando sono nata, questo rito si ripete come per magia nel negozio di famiglia che abbiamo a Salerno.

Mio padre, Ugo Pellecchia, con le sue mani rugose di lavoro, li sistema con cura, come se fossero figli suoi, li ha scelti in vivaio uno per uno, nei suoi occhi però non c’è il mio stesso entusiasmo infantile, è qualcosa di diverso, di struggente, un rispetto, una riverenza…

Io so il perché, ma aspetto quel “suo” racconto di Natale, che per l’ennesima volta dirà in negozio a un cliente, mentre si tratta di scegliere per decidere un acquisto.

«Dotto’, lei lo sa, da noi in Sud Italia l’albero di Natale non esisteva! C’era solo il Presepe e quanti ne abbiamo costruiti! Nel nostro negozio, durante il periodo precedente il Natale vendevamo fiori e presepi!»

«Il negozio di mio padre Arturo» ­­prosegue nel suo racconto mio padre Ugo «era stato aperto nel 1919 a Nocera Inferiore, paese campano ai piedi del Vesuvio. Nel 1944 gli alleati erano stanziati nelle caserme Libroia e Tofano. Lo sbarco ”Avalanche” era avvenuto il 9 settembre 1943 nel golfo di Salerno, operazione militare di fondamentale importanza nel processo di liberazione del territorio italiano nazifascista. L’intento alleato, come tutti sanno, era di allontanare i tedeschi dall’Italia meridionale, per raggiungere Napoli e poi liberare Roma. Il negozio di mio padre Arturo a Nocera era a due passi dalle caserme, quindi c’era un via vai di militari».

«Io, Ugo, avevo 13 anni in quella vigilia di Natale del 1944 e ricordo che avvenne una cosa inimmaginabile. Entrarono in negozio due “Miss, crocerossine americane” bellissime, bionde, in divisa, sembravano due angeli! Chiesero a mio padre Arturo se poteva seguirle in caserma perché avevano bisogno di un giardiniere o fiorista per aiutarle a sballare e sistemare i Christmas tree».

«Mio padre non se lo fece ripetere due volte», narra ancora con precisione Ugo e specifica «chiamò i miei due fratelli più grandi, Enzo e Antonio, per farsi aiutare, poi guardando i miei occhi supplichevoli disse “Vabbuo’ Ugarie’, vieni pure tu cu’nuie” (Va bene Ugarello, vieni anche tu con noi). Noi tre figli non avevamo capito bene quella parola straniera "Christmas tree", ma mio padre sì; si parlava di Abies picea excelsa. Entrati in caserma, vedemmo in sacchi di iuta degli alberi imballati. Dovevamo aprirli e piantarli nei vasi. Da mio padre Arturo, con i miei fratelli forti come tori, gli alberi furono issati. Alti, erano alti, e tutti stemmo col naso all’insù per guardare il verde e il cielo che si incontravano! Gli americani battevano le mani, le miss anche, noi non capivamo, pensavamo che il lavoro fosse finito, invece le miss prelevarono da scatoloni fili di luci americane e palline americane per decorare l’abete. Era la prima volta che vedevamo questo, li aiutammo, poi l’albero fu completato. Le miss accesero le luci, l’Abies picea si illuminò come d’incanto. Gli americani applaudirono di nuovo, mio padre, i miei fratelli, io, no. Rimanemmo senza parole, stupiti, come se stessimo sognando. Mio padre sussurrò il nome di mammà, morta già da molti anni “Olimpia mia…” (gli adulti quando sono felici sono contemporaneamente tristi). Io ero “guaglione” (ragazzo), ma la mia vita, la mia realtà erano la guerra, terribile, i treni merci che portavano morti ammucchiati, morti, morti dappertutto. Ogni giorno il pane, bisognava procurare il pane giornaliero. La mia sensazione per tutti quegli anni era un senso di freddezza enorme, lo capii solo allora, quel freddo che, come per magia, fu riscaldato guardando le luci del mio primo albero di Natale. Quel dicembre del 1944 fu memorabile, papà Arturo a casa, finalmente parlava del nostro futuro. “Guaglioni (ragazzi) l’anno prossimo al negozio venderemo anche noi gli alberi di Natale con le palline e le luci, come gli americani! Il Presepe e l’albero di Natale!”. Così mio padre Arturo si mise subito alla ricerca del prodotto, i primi Abies picea excelsa alla ditta Pellecchia furono forniti dalla famiglia Delle Cave di Napoli, che utilizzava abeti da sempre, ma solo per allestimento in ville e parchi».

Il racconto di mio padre Ugo, per me tanto struggente, si conclude qui ed egli, oggi più che ieri, con un sospiro vi appone un sigillo: «Eh sì, dotto’, da allora sono passati più di sessant’anni! Dunque, vi mando l’albero a casa?... Benissimo! Ossequi alla signora…» e dicendo questa parola tanto napoletana, tanto latina, accenna un leggero inchino… Guardandolo sorrido. Papà, sei uno degli ultimi galantuomini!

Così anche quest’anno arriverà il 24 sera e, come ogni anno, abbassata la saracinesca dopo l’ultimo cliente, torneremo tutti a casa dove mia madre Filomena avrà preparato il nostro leggero, ma gustosissimo cenone: spaghetti “capperi, acciughe e olive”, baccalà all’insalata, cavolfiore, broccoli di Natale, dessert con i classici dolci struffoli e zeppole.

Ogni anno crolleremo dal sonno prima della mezzanotte, Gesù bambino sono anni, spero ci perdoni di averlo fatto nascere sempre nell’ora sbagliata! L’ultima luce che spengo, però, è quella dell’albero di Natale.

Il nostro bellissimo albero di Natale di quel lontano 1944.

Buon Natale a voi tutti!

Anny Pellecchia

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Copyright © Ugo Pellecchia & Il Floricultore n. 12, Dicembre 2008